mercoledì 28 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 8


da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Philip k. Dick, Noi marziani

“E la gente, pensò Jack, parla della malattia mentale come di una fuga dalla realtà! Rabbrividì. Non era affatto una fuga; era una restrizione, una contrazione della vita fino a diventare, in ultimo, una tomba, una tomba umida e ammuffita, un luogo dove nulla accadeva: un luogo di morte totale.”

lunedì 26 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 7



da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino"

Intersezioni:
Elsa Morante, Menzogna e sortilegio

“Inoltre, già da molti anni egli versava alla Bottega di Pompe funebri una piccola somma mensile, per avere, quando la sua ora fosse giunta, una cassa di zinco e di noce e il trasporto riserbato alla gente non povera. Questa usanza di provvedere da vivi alle spese della propria morte, è abbastanza diffusa fra i paesani di laggiù. Essi non temono troppo il giorno del trapasso, né hanno credenze certe e severe d’una vita futura. Sui muri di quelle chiese o cimiteri si vedono, è vero, talvolta, dipinte le tragiche fiamme del Purgatorio, con la scritta: Ora pro nobis; ma in realtà, nel pensiero dei vivi, ogni immaginazione sull’al di là si rinchiude nei terrestri confini della fossa. E quand’essi pregano per la pace dei morti, pensano al corpo che riposa in quei piccoli campi. A colui che per qualche motivo non fu sepolto, tale riposo è negato; ed egli vaga nella sua terribile insonnia, bramoso di giacere sotto terra.”

giovedì 22 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 6

da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare

“L’uomo alfabeta, che ha accettato una tecnologia analitica di frammentazione, non è certo vicino ai modelli cosmici come l’uomo tribale. Al cosmo preferisce la separazione e la divisione degli spazi in compartimenti. E’ sempre meno disposto a considerare il proprio corpo un modello dell’universo o a vedere nella propria casa – o in qualunque altro medium di comunicazione – un’estensione rituale del suo corpo. Una volta adottata la dinamica visiva dell’alfabeto fonetico, gli uomini incominciano a perdere l’ossessione dell’uomo tribale  per l’ordine cosmico e il rituale sempre presente negli organi fisici come nelle loro estensioni sociali. Ma l’indifferenza per il cosmico favorisce un’intensa concentrazione su piccoli segmenti e su compiti specialistici che è la forza ineguagliata dell’uomo occidentale. Lo specialista infatti è colui che non fa mai piccoli sbagli mentre avanza verso un grande errore.”

lunedì 19 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 5 














da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino



INTERSEZIONI:
Christa Wolf, Un giorno all’anno


“Prima di addormentarmi penso che di giornate come questa è fatta la vita. Punti che alla fine, se abbiamo avuto fortuna, sono congiunti da una linea. Ma penso anche che possono disgregarsi in un accumulo insensato di tempo passato, e che solo un costante, fermo sforzo dà senso alle piccole unità di tempo in cui viviamo”

giovedì 15 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 4













da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Arthur Schnitzler. “IO”

“Nel pomeriggio non riuscì a dormire. Giaceva sul divano nella sala da pranzo, non c’era nessuno con lui. Prese il suo taccuino. Era di sicuro il suo taccuino, non certo il portafoglio o il portasigari, e scrisse su un foglietto “Credenza”, su un altro “Armadio”, su un altro “Letto”, su un altro “Poltrona”. Quest’ultima parola dovette scriverla diverse volte. Poi fissò i foglietti alla credenza, all’armadio, entrò di soppiatto nella camera da letto dove la moglie stava facendo il pisolino pomeridiano, e con uno spillo fissò il foglietto con la parola “Letto”. Egli uscì prima che la moglie si svegliasse. Andò poi al caffè e lesse i giornali, anzi tentò solo di farlo. Tutta quella carta stampata che aveva davanti gli sembrò sconcertante e al contempo tranquillizzante. Qui c’erano nomi, indicazioni che non potevano destare alcun dubbio. Ma le cose a cui quei nomi si riferivano erano lontane.” 

lunedì 12 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 3


















da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Michail Bachtin – L’autore e l’eroe

"Soltanto la coscienza che io ho di non esistere ancora in ciò che è più essenziale, costituisce il principio organizzatore della mia vita a partire da me (nel mio rapporto con me stesso). La giusta follia che fa che io, per principio, non coincida con me stesso in quanto dato, condiziona la forma della mia vita dall’interno. Io non accetto la mia presenzialità; credo follemente e indicibilmente nella mia non coincidenza con questa mia presenzialità interiore. Non posso calcolarmi tutto, dicendo: eccomi tutto qui, non c’è più luogo in cui non sia e cosa che io non sia, io sono già per intero."

giovedì 8 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n. 2














da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino


INTERSEZIONI:
Godard – Questa è la mia vita
(al bar: il filosofo e la puttana)
_ Ha letto i Tre moschettieri?
_ Ho visto il film. Perché?
_ Vede. La c’era Portos. Però non era nei Tre Moschettieri, era in Vent’anni dopo. Portos grande, forte, un po’ stupido. Non ha mai pensato in vita sua, capisce? Così una volta deve mettere una bomba in un sotterraneo, per farlo saltare. Lo fa. Piazza la bomba, accende la miccia. Poi scappa, naturalmente. E correndo di colpo si mette a pensare, e a cosa pensa… si domanda come sia possibile che egli possa mettere un piede davanti all’altro. E’ successo anche a lei probabilmente… è vero? Allora smette di correre, camminare non può, non può più andare avanti. Quando c’è l’esplosione il sotterraneo gli crolla addosso. Lo sostiene con le spalle, è abbastanza forte, ma alla fine, dopo un giorno, due giorni è sopraffatto e muore. Insomma la prima volta che ha pensato è morto.
_ Perché mi sta raccontando delle storie di questo genere?
_ Così, tanto per parlare.
_ Ma perché bisogna sempre parlare, io trovo che spesso si dovrebbe tacere, vivere in silenzio. Più si parla più le parole non vogliono dire niente.
_ Può darsi ma è possibile?
_ Questo non lo so.
_ Mi ha sempre colpito il fatto che non si possa vivere senza parlare.
_ Eppure sarebbe piacevole vivere senza parlare.
_ Si sarebbe bello, sarebbe bello. Sarebbe come se ci si amasse di più. Però non è possibile, non ci si è mai riusciti.
_ Ma perché? Le parole dovrebbero esprimere esattamente quello che vogliamo dire. Invece ci tradiscono.

_ Si ma le tradiamo anche noi. Dovremmo riuscire a dire quel che vogliamo dire, visto che riusciamo a scriverlo.









Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente

“Tutti gli organismi devono accontentarsi di una coscienza piuttosto scarsa, e che se la coscienza esplica qualche funzione utile (il che non è mai stato dimostrato, ma è probabilmente vero), allora è d’importanza fondamentale economizzare la coscienza. Nessun organismo può permettersi di esser cosciente di faccende che può sbrigare a livelli inconsci.”

lunedì 5 gennaio 2015

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Apocalissi culturali: tavola n.1 

da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino