Apocalissi culturali: tavola n. 13 |
da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino |
Intersezioni:
Paolo
Virno, postfazione a “Gilbert Simondon, L’individuazione psichica e collettiva”
Nel collettivo, così sembra, la singolarità si stempera,
è menomata, regredisce. Ebbene, a giudizio di Simondon, questa è una
superstizione: epistemologicamente ottusa, eticamente sospetta. Una
superstizione alimentata da coloro che, trascurando con disinvoltura la
questione del processo di
individuazione, presumono che il singolo sia un immediato punto di partenza. Se
invece si ammette che l’individuo proviene dal suo opposto, cioè dall’universo
indifferenziato, il problema del collettivo prende tutt’altro aspetto. Per
Simondon, contrariamente a quanto asserisce un senso comune deforme, la vita di
gruppo è l’occasione di una ulteriore e più complessa individuazione. Lungi dal
regredire, la singolarità si affina e tocca il suo acme nell’agire di concerto,
nella pluralità delle voci, insomma nella sfera pubblica.
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