lunedì 30 marzo 2015

24

Apocalissi culturali: tavola n.24














da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

giovedì 26 marzo 2015

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Apocalissi culturali: tavola n.23


da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino"

INTERSEZIONI:
Carl T. Dreyer, Vampyr

“Il fiume. Alternate a tutte le inquadrature precedenti sulla morte di Marc nella palude, se ne vedono alcune con Nikolas e Gisèle che camminano in direzione del fiume. Quando arrivano sulla riva, lo trovano velato di una nebbia bianca che non è abbastanza densa per nascondere loro l’altra sponda. Proprio ai loro piedi c’è un battello. Vi saltano dentro e Nikolas prende i remi e si mette a remare. Dopo un poco la nebbia diventa più densa, ma Nikolas continua a remare. Ora non vede neppure la riva che hanno appena lasciato. Gisèle si guarda attorno ansiosa, e Nikolas si appoggia ai remi per orientarsi. Ma si vedono interamente circondati di nebbia. Sono un po’ ansiosi e perplessi, Nikolas porta le mani ad imbuto attorno alla bocca e grida: -Oooh!

domenica 22 marzo 2015

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Apocalissi culturali. n.22













da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Massimo Bontempelli, Minnie la candida
Minnie russa. I due tendono l’orecchio. Lei si calma, e d’un tratto pare che non respiri
più. I due corrono a lei. Lei di colpo s’alza a sedere sul letto sbarrando gli occhi.
SKAGERRAK    Dio, Minnie.
TIRRENO   Che cos’è?
Pausa. Minnie esce in un ululo disumano, opaco: è breve, si tronca netto. Pausa.
MINNIE   (tende le braccia brancolando: pare che non li veda) Un momento… Sei
tu? sei tu?
SKAGERRAK   Sì, Minnie.
TIRRENO   Guardaci.
MINNIE   No, così no… un momento. (Pausa. Gridando) Accendi là. Anche
quelli. Molta luce. Più luce che possiamo.
Tirreno e Skagerrak sono corsi ad accendere tutti i lumi.
MINNIE   (s’alza, lasciando la vestaglia sul letto, in camicia di velo: afferra dalla
toletta lo specchio, si butta in terra nel punto più illuminato della stanza). Qui
quello (accenna a una lampada portatile con un lungo filo che è sulla tavola: i
due gliela portano). Voi non venite. No. Lontani! (li scosta con le braccia) Uuh!
(con una specie di russare come quando dormiva, si guarda avidamente nello
specchio: cerca di tenerlo immobile e di tenersi immobile: pare che con lo sguardo
sfondi e sprema lo specchio: poi comincia a tremare) Ecco è certo. Sì, ora sì,
vedo chiaro, sono io, io. Non sono vera io, no, no… sono una di loro, quelle
povere… fabbricate. Lontano state, lontani… abbiate paura abbiate paura di
me. E non lo sapevo… Vedere (si fissa ancora, poi il suo sguardo dallo specchio
si trova a mirare come un punto lontano). Ma però, però… io mi ricordo tante
cose vecchie. E allora? Sì, mi ricordo, la mia madre ricordo, e mi parlava
della penisola Italia: io piccola ero. Ma, ma, anche ricordare può esser
finto. Sì, così: così hanno messo dentro, dentro, dentro insieme questo
ricordare, quelli che m’hanno fabbricata, per ingannarmi di più. Si vede,
si capisce tutto. E non lo sapevo! Oh tante cose ora capisco, tutto capisco
io. Voi non potete sapere. Come fare ora? Come faccio? Oh tu perdonami,
Skager… Ah ma no, sai, l’amore mio era vero, sai; quello no, nessuno l’ha
messo lui fabbricato dentro in me: sono io, quello, l’amore mio, sai? Tutto
vero l’amore mio. Il resto no, no: mio piccolo Skager, la donna tua non vera
è, cosa fai tu della tua donna fabbricata tutta, ah… Hai paura… E non era
colpa mia, Skager, credilo… uuh! (stringe i denti, si stringe tutta in sé come

per distruggersi e scomparire. I due la afferrano per le braccia, lei urla) Noh                                  (imperiosa) abbiate paura! No! Andate via di qua. Non potete mai…

giovedì 19 marzo 2015

21

Apocalissi culturali: tavola n.21















da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

lunedì 16 marzo 2015

Clara Zanardi, Sul filo della presenza


















Clara Zanardi, Sul filo della presenza, Milano Edizioni Unicopli 2011



“Sul filo della presenza” è titolo bellissimo per un’opera che vuole affrontare quel legame sottile che intercorre tra il De Martino antropologo e il De Martino filosofo. L’autrice Clara Zanardi, laureata in filosofia all’Università di Venezia – Ca’ Foscari, che alla data della pubblicazione del libro, 2011, poteva vantare la solida età di anni 23, indaga l’attualità dell’opera demartiniana affrontando in particolare l’opera incompiuta, pubblicata postuma nel 1977 col titolo “La fine del mondo”1  a cui si è aggiunto nel 2005 un altro volume di scritti 2 a carattere più espressamente filosofico. E’ un piccolo libro di 130 pagine, denso ed estremamente centrato sul pensiero demartiniano con un approccio severo e meticoloso capace di riconoscere l’originalità di una filosofia in prima istanza tale, non cioè come sussidiario prodotto di una ricerca antropologica, che fa di Ernesto De Martino “una delle figure intellettuali più significative dell’Italia del xx secolo.”3 Presenza, crisi della presenza, risoluzione della crisi, le tre sezioni in cui si suddivide l’opera. Non è nelle mie intenzioni e trascenderebbe comunque le mie capacità elaborare una critica sistematica. E’ uno studio chiaro nella sua esposizione che se si presta a una doverosa rilettura è solo per la sua intrinseca ricchezza. Mi permetto unicamente di evidenziare un paio di punti tra quelli che più mi hanno colpito. Il primo sulla libertà, un concetto a cui oggi siamo abituati a pensare in termini astratti e universalistici. Sembra facile pensare all’idea di libertà; con un po’ di buon senso a buon mercato concediamo che i suoi limiti sorgano dove si delinea la libertà degli altri, ma superati questi la sua luce splende nella sua integrità assoluta, indiscussa nel regno dove tutto è possibile. E’ quindi difficile accettare la visione demartiniana che vede la decisione dell’individuo di inserirsi nel contesto sociale, comunitario non come “un esperire la libertà come pura possibilità, ma come scelta di una fedeltà particolare al già deciso da altri, e come continuazione del loro decidere nella nuova irripetibile situazione singola”4 “La tendenza solipsistica fatta propria dalla filosofia occidentale” prosegue Clara Zanardi dopo la citazione da De Martino “la tentazione a cui è soggetta di definirsi elitariamente e di considerare l’isolamento sinonimo di profondità e di riflessione ed autenticità, ha origini remote. Sotto il pungolo, l’importanza ed il valore della sfera pubblica sfumano nell’insignificante del cicaleccio quotidiano (…) Per De Martino, invece, la società va riscattata dal momento che è lì che si gioca interamente la vita umana, dall’inizio alla fine, in ogni suo minimo aspetto.” E la libertà? Che ne è del nostro sogno millenario sulla nostra singola libertà di essere ciò che pensiamo di aver diritto di essere, “l’individuo in sé è dunque un ‘nulla’”5 ? Che libertà c’è se siamo solo un noi e non un io? Il secondo punto che volevo evidenziare credo possa rispondere a queste domande. Il problema dell’essenza dell’individuo, su come sia preferibile concepire il nostro essere, come vogliamo vederci, pensarci. “La preferenza per una concezione dinamica dell’essere, che sostituisce ad un’irraggiungibile trascendenza un trascendimento storico che impone un incessante sforzo esistenziale, consente l’inserimento tra l’essere e il dover-essere di uno spazio libero. Se tale intercapedine costituisce di certo un fattore di incertezza per l’uomo, rappresenta però anche un fondamento terreno affinché egli eserciti la propria intenzionalità e si crei nuove opportunità, decidendo in prima persona il proprio destino senza che esso sia già scolpito da millenni in rocce metafisiche.”6 Lì in quello “spazio libero”, spazio non interstiziale, surrettizio, ma “intercapedine” necessario allo sviluppo della libertà vera, indefinita, indefinibile, mai decisa una volta per tutte, essa può manifestarsi nella sua realtà. Una libertà che ha volto, carattere, istanze decise e costruite dalle pratiche di esseri umani che per il loro interagire, relazionarsi, confliggere possono realmente dirsi e sentirsi liberi. Liberi di opporsi a quella società di formiche a cui Lévi Strauss profetizzava l’umanità fosse inevitabilmente condannata; triste profezia a cui Ernesto De Martino ha pensato bene di “contrapporre la opposta e complementare profezia racchiusa in un passo delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij” in cui nell’estrema congiura di un uomo ridotto ad essere un puro tasto di pianoforte “in questo caso l’uomo diventerà pazzo, apposta per essere privo di ragione e tener duro!... Ecco, le formiche hanno tutt’altro gusto. Esse hanno un solo e meraviglioso edificio dello stesso genere, inalterabile in eterno: il formicaio.”7    

“In conclusione” ci avverte infine Clara Zanardi che il pensiero di De Martino “sembra non riuscire mai a trovare conforto in una totalità sistematica, ma si contorce tra molteplici influenze e continue revisioni, in un’irrequietezza che guarda con diffidenza alle compite costruzioni idealistiche, ma che ancora non giunge ad una propria solida tematizzazione coerente”8 e grazie a ciò, ci sentiamo di aggiungere, uno dei maggiori pensatori del xx secolo può  traghettare nel secolo successivo, il nostro, per aiutarci a far passare la crisi senza rischiare di passare anche noi con questa.

1 Ernesto De Martino, La fine del mondo, Torino Einaudi 1977. Nuova edizione Einaudi 2002
2 Ernesto De Martino, Scritti filosofici, Napoli Società Editrice Il Mulino 2005
3 Clara Zanardi, Sul filo della presenza, Milano Edizioni Unicopli 2011 pag. 9
4 ibidem pag. 41
5 ibidem pag. 42
6 ibidem pag. 131
7 Ernesto De Martino, La fine del mondo, Torino Einaudi 1977 pag. 690

8 Clara Zanardi, op. cit. pag. 134

domenica 15 marzo 2015

20

Apocalissi culturali: tavola n.20

da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino


INTERSEZIONI:
Sergio Spazzali, Chi vivrà vedrà

“Qualcosa abbiamo in effetti in comune con l’altro: il fatto di essere altro per lui, come lui è altro per noi. E’ un autentico mistero come le cose diverse siano presenti le une alle altre, avendo ciò solo in comune: di non essere l’una l’altra. Si tratta del mistero della natura in generale, il quale può essere sondato razionalmente o compreso eticamente, ma innanzitutto e al di fuori di ogni sondaggio e comprensione, esiste e si pone come problema.”

mercoledì 11 marzo 2015

19

Apocalissi culturali: tavola n. 19


da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino


INTERSEZIONI:
Maria Zambrano. Il sogno creatore

“Sognare è già svegliarsi. E per questo esiste un sognare che sveglia la realtà ancora addormentata ai confini della veglia: in quel territorio dove la coscienza non si avventura; lo spazio extracosciente, alla cui frontiera l’attenzione accorre senza farsi notare, con esasperata cautela; frontiere di sicurezza che l’”io” sancisce dall’alto della propria sovranità. Giacché il modo dell’uomo di vivere, il suo essere nella vita – questo che conosciamo e che ci si impone – sembra riprodurre la situazione, le leggi e le consuetudini di una roccaforte cinta d’assedio: al centro, un sovrano tanto implacabile quanto vulnerabile, secondo tale parallelismo. Emissari subordinati e il più delle volte clandestini trasmettono ordini in direzione delle mura poste a difesa di ciò che si chiama la persona, l’”essere”, inteso come presa di possesso della realtà, innanzitutto di uno spazio e di un tempo. E da questa muraglia che cinge uno spazio e un tempo  resi omogenei, l’attenzione, la più costante dei subordinati, guarda l’orizzonte, trasformandolo in frontiera.”

domenica 8 marzo 2015

18

Apocalissi culturali: tavola n.18











da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Italo Calvino.. introduzione all’Anabasi di Senofonte

“C’è si un pathos dell’Anabasi: è l’ansia del ritorno, lo sgomento del paese straniero, lo sforzo di non disperdersi perché ancora finché sono insieme essi portano in qualche modo con sé la patria.”

giovedì 5 marzo 2015

17

Apocalissi culturali: tavola n. 17














da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino

INTERSEZIONI:
Giorgio Manganelli, Il vescovo e il ciarlatano

“Esiste un elemento negativo, un buio essenziale, che non è eliminabile; ma, e qui è il prodigio, esiste un elemento che al buio si oppone, qualcosa che non si può chiamare luce, e che è impossibile spegnere o disperdere. Il malato non guarirà, ma non diventerà mai la malattia. Qualcosa in lui non conosce infermità; sa nascondersi nelle catacombe del corpo, può scendere un’infinita scala verso intollerabili abissi, ma non cadrà mai nel fondo; non perché è coraggioso, ma perché non può farlo.”

lunedì 2 marzo 2015

16

Apocalissi culturali: tavola n. 16












da "La fine del mondo" di Ernesto De Martino