La metodologia per uno studio marxista delle società precapitalistiche, malgrado gli studi condotti in questa direzione, di cui l’ultimo è quello del Terray, ha ancora molti punti da chiarire sia per quanto concerne le reciproche relazioni (reali e storiche) tra struttura e sovrastruttura, sia per una ridefinizione delle nozioni di ceto e strato sociale nell’ambito di società da cui è assente la nostra attuale organizzazione classista. Esiste tuttavia una chiave metodologica unificante queste diverse problematiche e quindi l’approccio a mondi degli studi etnologici tradizionali a torto considerati come talmente “diversi”, da non consentire in essa la verifica di ipotesi metodologiche utilizzabili per il contesto della nostra società attuale. Si tratta dell’analisi delle strutture di potere, cioè il problema di quali settori esso investa (politico, economico, sacrale, militare ecc.: settori a loro volta spesso unificabili entro un “fattore sociale totale”); quali gruppi lo detengano, quali conflitti emergano da un lato tra le diverse forme di potere e dall’altro tra potere e contro-potere; come si configurino i rapporti tra struttura e sovrastruttura (in particolare: ideologia) nell'ambito di situazioni così differenziate.
La presente opera della Gallini propone di verificare secondo questa chiave
un momento particolare della storia di Roma: il definitivo tramonto della
vecchia città-stato e il primo proporsi di quella nuova dimensione, che nel
giro di men di due secoli avrebbe portato Roma al suo assetto imperiale.
In questo periodo Roma inizia a porre le basi della
sua struttura schiavistica; si definiscono contemporaneamente insuperabili
differenze di ceto (nobilitas
senatoria, élite commerciale
detentrice di potere economico ma priva
di potere politico, ceti rurali in crisi, plebe urbana sulla via di una
sottoproletarizzazione conseguente ai processi immigratori, masse servili, ecc.
Si profilano varie forme di tensione
sociale, di cui l’A. analizza gli aspetti nelle zone più marginalizzate.
I ceti subalterni più diseredati iniziano la loro
protesta proponendo nuove forme associative – i baccanali, in cui mediante
l’estasi e la “possessione” si tenta di evadere dalla realtà e di ascendere in
qualche modo a livelli più alti di dignità. Siamo nel 186: mezzo secolo più
tardi, le rivolte servili – organizzate sotto la guida di un leader carismatico in diretto contatto
con gli dei . minacceranno seriamente l’assetto istituzionale della Repubblica.
In entrambi i casi, la protesta sociale assume forme antitetiche a quelle
istituzionalizzate dallo stato attraverso i sacerdoti e le magistrature. In
particolare, si mette in causa quel legame organico tra famiglia e stato, il
cui filo rosso era costituito dai principi di autorità e di rappresentatività.
Baccanali e rivolte servili furono brutalmente repressi dall’oligarchia di
potere (capp. I, II, e par. 2 del cap. IV).
Il gruppo detentore del potere politico-religioso fu
però in grado di elaborare una propria ideologia del potere, che aveva una
duplice funzionalità: venne a connettersi in modo sempre più preciso e
articolato alle trasformazioni del potere politico, destinato nel breve giro di
un secolo, a tramutarsi in potere politico personale; seppe rispondere con
funzione integrante alle diverse proposte eversive e liberalizzanti, che
provenivano dal basso. È il sorgere della ideologia del capo politico
carismatico che abbiamo già visto profilarsi nell’ambito dei ceti subalterni,
fonte autonoma di potere politico e religioso, che servirà da centro di
riferimento per il nuovo assetto sociale dell’impero.
Si delineano, a questo punto, due linee di ricerca:
la prima, più propriamente storica, relativa alle fasi del processo di
definizione dei carismi del capo politico (cap. III e IV); la seconda, di
analisi più propriamente socio-antropologica, che si propone di identificare i
precisi nessi tra i diversi istituti sociali (famiglia, clientelato, schiavitù, ecc.) e i valori proposti nei loro
confronti dal princeps (autorictas, pietas, protezione concessa
dal pater patriae, ecc.), il quale si
afferma come unico insostituibile modello di integrazione di tutto l’assetto
sociale (cap. V).
Tesi interessante e suggestiva dell’A. è che
l’integrazione delle eventuali forme di protesta è un rischio costantemente
corso dalla dinamica delle società ad economia precapitalistica, nella misura
in cui è storicamente assente da esse una netta struttura in classi e quindi la
possibilità di una chiara coscienza di classe.
“Al limite, vedremo perfino una contestazione
globale costruirsi da sé, con le sue mani, gli strumenti della propria
integrazione, nella misura in cui, proponendo un modello utopistico di
capovolgimento totale del sistema, suggerirà al princeps di presentarsi come il padre della novella età dell’oro”
(p. 9).
L’analisi di questo fenomeno che è forse da assumere
come invariante del processo storico è l’argomento dell’ultimo capitolo
dell’opera della Gallini.
Siamo di fronte, com’è facilmente intuibile, a un
libro a tesi, che appare scritto sotto l’immediata sollecitudine di venti a noi
molto vicini nel tempo, e cui anche l’A. fa consapevolmente riferimento nell’Introduzione. In questa prospettiva, si
tenta di tirare le fila di molti discorsi sinora presentati settorialmente dai
singoli specialisti di varie discipline: storici delle religioni, economisti,
storiografi. Si tenta soprattutto di compiere il notevole sforzo metodologico
di un’analisi di quei rapporti di potere, che sinora è stata portata avanti
solo da sociologi e antropologi a proposito di società contemporanee ed è tutta
da verificare nel contesto delle società antiche.
Potranno essere non sufficientemente precisati
aspetti marginali del fenomeno considerato, si potrà dissentire sulla tesi
fondamentale del lavoro. Ma, al di là di tutto ciò, ci sembra importante segnalare
la stimolante provocazione per il lettore specializzato e l’invito implicito a
riconsiderare un modo diverso una realtà data quasi per scontata, che
dell’opera della Gallini costituiscono l’esito più considerevole. È anche da
segnalare lo sforzo di costruzione di un linguaggio anti-accademico che, a sua
volta, potrà stimolare anche i “non addetti ai lavori”, invitandoli a
riflettere non soltanto sull’ieri, ma anche sull’oggi.
(Il libro a cinquant'anni di distanza non ha avuto nessuna nuova edizione: una recensione con la speranza che possa essere ristampato QUI )